Nel precedente post sugli infortuni, ho introdotto le mie
idee, sottolineato l’importanza del tema e indicato le possibili cause.
Oggi invece descriverò (sempre la mia) metodologia di
gestione degli infortuni, che è un ciclo formato da prevenzione, gestione vera e propria e ancora
prevenzione.
Bisogna considerare tre fasi.
1-Quando si è sani:
2-Quando si è infortunati.
3-Quando si è guariti
1-Quando si è sani:
è la fase in cui vorremmo essere sempre, signora mia! E
in cui dobbiamo cercare di essere sempre. Quando siamo in questa condizione,
occorre ascoltare attentamente i messaggi che ci manda l’organismo. Un piccolo
fastidio al ginocchio o un affaticamento muscolare non vengono a caso:
segnalano che probabilmente c’è qualcosa che non va relativamente a una delle quattro
cause descritte nel post precedente.
Altri segnali possono essere la stanchezza, i battiti a
riposo troppo alti rispetto al solito, l’influenza. Tutto ciò che non ci fa essere
più completamente “sani” (e belli).
Per rimanere nella fase 1 il più a lungo possibile
occorre porre la massima attenzione a non commettere errori che possono portare
all’infortunio. Sono quelli descritti nel post precedente al paragrafo delle
quattro cause. Ho portato degli esempi, ma se ne potrebbero aggiungere molti
altri:
Causa 1, intensità: gara tirata sui 10 km la domenica. Il
martedì vado per un 12x400 a tutta!
Causa 2, volume: ho la maratona da preparare, primo lungo
30km, venendo da corse di massimo 20km fino ad oggi.
Causa 3, riscaldamento: oggi ho fretta, ho un impegno, ma
non posso saltare le ripetute: 1km a 4’ di riscaldamento e poi 6x1000 a tutta…
Causa 4, scarpe: ho comprato l’ultimo modello, dicono sia
una bomba per le ginocchia. Lo userò tutti i giorni.
Sono solo esempi (banali, ndjo).
2-Quando si è infortunati:
Per prima cosa bisogna specificare bene cosa significa
essere infortunati.
Ecco per me significa non essere più nella fase 1, cioè
assenza completa di fastidi. Quindi metto nella fase 2 sia gli infortuni lievi
sia quelli gravi.
Qui conta anche molto l’aspetto psicologico. L’atleta in
genere non accetta subito di essere infortunato. Tende a minimizzare,
rischiando di peggiorare la situazione. L’opinione più diffusa, quello che
tutti gli altri runner consigliano all’infortunato poi è di fermarsi
immediatamente (e certo mica sono loro infortunati…) e andare dal medico o a
fare gli esami del caso (es. ecografia). E ovviamente cosa volete che vi faccia
fare il medico: una bella (costosa) terapia! (es.tecar).
Ebbene io penso che questo sia sbagliato non sia
l’approccio corretto.
Per capire l’entità dell’infortunio e i passi da seguire
occorre un protocollo:
uno schema da seguire che dia risposte precise e che in questo modo tenga conto
dell’aspetto psicologico.
Punto 1-Rilevato un problema (lieve o grave che
sembri) occorre porsi la seguente domanda: riesco, nonostante il “problema”, a correre,
riuscendo a raggiungere gli obiettivi delle sessioni di allenamento del
programma che sto seguendo?
Punto 2a-Se la risposta è si, è probabile che l’infortunio sia
lieve e che non ci sia bisogno né di fermarsi né di ricorrere ad aiuti esterni
(medici, stregoni, fattucchiere).
Si può e si deve continuare ad allenarsi ma occorre monitorare bene la situazione.
Dopo ogni allenamento bisogna porsi la domanda: il
problema sta
peggiorando? Se la risposta è no, anche se non si vedono subito
miglioramenti, si può e si deve continuare a correre.
Nel frattempo, mentre ci si continua ad allenare, è
fondamentale capire
la causa dell’infortunio e rimuoverla. Ci si deve di nuovo riferire
alle quattro cause del primo post, e riflettere bene su come ci si è allenati
nell’ultimo periodo. Abbiamo aumentato l’intensità? Il volume? Abbiamo cambiato
scarpe? Abbiamo ridotto il riscaldamento? Qualunque sia la risposta, che
servirà in futuro a non ripetere l’errore, bisogna lasciare il tempo
all’organismo di recuperare.
Punto 3a-Individuata e rimossa la causa
dell’infortunio è molto probabile che il problema scomparirà in breve tempo.
Continuando ad allenarsi, nessun aiuto esterno.
Se il problema permane ma non peggiora, forse la causa è
un’altra.
Continuare
ad indagare e rimuovere. Finché non si torna nella fase 1.
Per chiarire meglio il concetto ricorrerò a un’esperienza
personale, non di poco conto.
Subito dopo la mia prima mezza maratona, in cui avevo
raggiunto gli stratosferici obiettivi che mi ero posto, avevo la possibilità di
allenarmi durante la pausa pranzo, con più tempo a disposizione.
Decisi allora
di passare da quattro a cinque allenamenti (a volte pure sei), inserendo un
lento o un medio. Ma allora facevo i lenti molto veloci, ritmo gara 10km +
40’’. Cioè aggiunsi altra intensità a quella che già facevo e ovviamente anche
del volume (ricordate le cause 1 e 2?).
Andai avanti un mese, migliorando
sensibilmente i miei ritmi. Alla fine del mese, però, improvvisamente mi
comparse un fastidio ai tendini tibiali. Avevo una gara dopo pochi giorni e
(aspetto psicologico) non accettai di essere infortunato.
Feci la gara con un
tempo per me a quei tempi strepitoso. Sull’onda dell’entusiasmo, aumentai
ancora gli allenamenti! Il dolore ai tendini non scompariva, le prestazioni
improvvisamente iniziarono a scadere, avvertivo tanta stanchezza e mi venne una
forte tosse. Feci un’altra gara con un risultato disastroso.
Ecco solo a quel punto accettai che c’era un problema
(che individuai nell’overtraining) e iniziai ad applicare il protocollo
descritto sopra. Avrei dovuto farlo già al primo fastidio ai tendini, ma feci
un errore di gioventù “esperienza”.
Per fortuna, da quel momento in poi, fui più avveduto.
Tutti i runner con cui parlavo mi dicevano di fermarmi e andare dal medico. Chi
mi diceva di fare le analisi del sangue, chi di bombardarmi di antinfiammatori,
chi di fare tecar.
Non seguì questi consigli e applicai il mio protocollo.
Punto 1.
Il fastidio ai tendini mi permetteva di allenarmi,
raggiungendo gli obiettivi giornalieri. La risposta era “si”. Il fastidio era
molto forte durante il riscaldamento, ma poi l’intensità diminuiva, riuscivo a
fare bene la seduta (anche se con qualche fastidio) per poi avere ancora male
nelle ore successive.
Punto 2a.
Allora potevo continuare. Peggiorava allenandomi? No,
rimaneva stabile. Potevo continuare.
Dovevo indagare le cause. Partiamo dal basso. 4) Scarpe?
No, non le avevo cambiate, né erano vecchie; 3) Riscaldamento? No, ne facevo
adeguatamente come sempre; 2) Volume? Forse. Avevo aumentato leggermente il
chilometraggio; 1) Intensità? Forse. Avevo inserito una seduta abbastanza
intensa.
Individuate le cause, dovevo rimuoverle. Per tagliare la
testa al toro e prendere i punti 1 e 2 insieme, decisi di tornare ai quattro
allenamenti, che non mi avevano mai dato problemi.
Iniziai da subito a sentirmi meno stanco. Le prestazioni
erano ancora insoddisfacenti, ma non peggioravano più.
E siamo al punto 3a. Nel giro di qualche settimana
iniziai a sentirmi meglio da tutti i punti di vista. Prestazioni, stanchezza e
anche i tendini. Il fastidio non cessò improvvisamente, ma diventò meno intenso
e poi iniziò a manifestarsi solo alcuni giorni.
Dopo un mese circa dall’inizio dell’applicazione del
protocollo ne fui fuori!
Non smettendo mai di allenarmi, senza l’aiuto dei medici.
Semplicemente a quel tempo non ero pronto per quel volume e più probabilmente
per quella intensità. Rimuovere la causa fu sufficiente a farmi guarire.
Nel prossimo post parlerò
invece degli infortuni più “seri” che impediscono di allenarsi. E anche lì, signora
mia, ho un protocollo da descrivere e un'altra esperienza personale da
raccontare.
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