Il titolo di questo post è volutamente
provocatorio: sono contrario al doping e considero profondamente sleali coloro
che ne fanno uso.
Per quanto mi riguarda, la prima
regola dello sport è che la vittoria ha valore solo battendo l’avversario
lealmente, dimostrandogli di essere il più forte. E questo si può fare solo se si
è leali, quindi senza ricorrere a scorrettezze di nessun genere (ingannare l’arbitro,
sfruttare una distrazione, doparsi).
Considero per questi motivi il rugby lo sport
per eccellenza: per il rugbista, infatti, vincere slealmente è un disonore.
Ma, signora, lo so che Armstrong, l’ex
ciclista vincitore di sette Tour de France, è stato squalificato a vita per
doping! Perché “uno di noi”, allora?
Adesso cerco di spiegarlo, calma eh.
Dunque, ieri mi è saltata all’occhio la
notizia della vittoria di Armstrong in un trail in Texas (casa sua) di 35 km
con 1000D+ corso in circa 3 ore.
L’articolo del corriere della sera,
piuttosto impreciso, usava il termine “stravince”, perché il secondo è arrivato
due minuti dopo. Ovviamente il giornalista mastica poco di running, perché due
minuti in una gara di quel tipo e su tre ore di corsa non sono quasi niente,
avrebbe “stravinto” se fosse arrivato mezzora prima!
E poi si dà spazio alla polemica, of course.
Gli altri atleti sarebbero rimasti “indignati” perché l’organizzazione ha
concesso di partecipare a un imbroglione, che non merita una seconda chance, e
così via.
L’organizzatore, di cui viene riportato il
commento per intero, premettendo che la partecipazione del nostro non era stata
pubblicizzata (quindi niente guadagni extra per l’organizzazione), che la gara
non dava premi in moneta e che non ricadeva in quelle vietate sempre al nostro,
pone poi una domanda ai sostenitori della polemica.
Chiede l’organizzatore: “Cosa avreste pensato
se non avesse vinto Armstrong?”.
Volendo intendere, non avreste avuto sospetti
su un altro vincitore? Visto che in questo tipo di competizioni non si fanno
controlli antidoping di alcun tipo, pensate che tutti siano “puliti”?
La risposta è sicuramente no, è noto infatti che
anche tra gli amatori è diffuso l’uso di sostanze “proibite”. Delle volte anche
io mi chiedo: “chissà tra quelli che mi sono arrivati davanti quanti sono
veramente “puliti”?
Per gli organizzatori, quindi, Armstrong non deve
essere considerato “diverso” dagli altri, ma anzi sarebbe ingiusto negargli la
possibilità di divertirsi a causa del suo passato di dopato.
Non ho una posizione decisa sul merito:
capisco le polemiche ma anche la risposta dell’organizzazione (non sono sicuro
se davvero sentita o se di circostanza) ha comunque senso.
Ma allora perché ho titolato “Armstrong, uno
di noi”?
Ecco, perché la cosa che mi ha colpito di più di tutta la vicenda è
stato il twitter di Armstrong stesso, riportato senza nessuna enfasi dal
giornalista:
“Can't remember the last time I had this much fun suffering for 3 hours.”
La frase mi ha trasmesso il suo piacere di
fare sport e di gareggiare, a prescindere dal titolo o premio in palio, dall'essere famosi. È quella
sensazione che ti fa dimenticare la fatica dell’allenamento, la sveglia presto,
il freddo o il caldo.
Sono lo sport e la gara in sé a divertirlo,
esattamente come succede a me e credo a tanti di noi “runners”.
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