giovedì 9 ottobre 2014

Cause e gestione degli infortuni nella corsa 2



Nel precedente post sugli infortuni, ho introdotto le mie idee, sottolineato l’importanza del tema e indicato le possibili cause.

Oggi invece descriverò (sempre la mia) metodologia di gestione degli infortuni, che è un ciclo formato da  prevenzione, gestione vera e propria e ancora prevenzione.

Bisogna considerare tre fasi.

1-Quando si è sani:
2-Quando si è infortunati.
3-Quando si è guariti

1-Quando si è sani:

è la fase in cui vorremmo essere sempre, signora mia! E in cui dobbiamo cercare di essere sempre. Quando siamo in questa condizione, occorre ascoltare attentamente i messaggi che ci manda l’organismo. Un piccolo fastidio al ginocchio o un affaticamento muscolare non vengono a caso: segnalano che probabilmente c’è qualcosa che non va relativamente a una delle quattro cause descritte nel post precedente.

Altri segnali possono essere la stanchezza, i battiti a riposo troppo alti rispetto al solito, l’influenza. Tutto ciò che non ci fa essere più completamente “sani” (e belli).

Per rimanere nella fase 1 il più a lungo possibile occorre porre la massima attenzione a non commettere errori che possono portare all’infortunio. Sono quelli descritti nel post precedente al paragrafo delle quattro cause. Ho portato degli esempi, ma se ne potrebbero aggiungere molti altri:

Causa 1, intensità: gara tirata sui 10 km la domenica. Il martedì vado per un 12x400 a tutta! 

Causa 2, volume: ho la maratona da preparare, primo lungo 30km, venendo da corse di massimo 20km fino ad oggi.

Causa 3, riscaldamento: oggi ho fretta, ho un impegno, ma non posso saltare le ripetute: 1km a 4’ di riscaldamento e poi 6x1000 a tutta…

Causa 4, scarpe: ho comprato l’ultimo modello, dicono sia una bomba per le ginocchia. Lo userò tutti i giorni.

Sono solo esempi (banali, ndjo).

2-Quando si è infortunati:

Per prima cosa bisogna specificare bene cosa significa essere infortunati.

Ecco per me significa non essere più nella fase 1, cioè assenza completa di fastidi. Quindi metto nella fase 2 sia gli infortuni lievi sia quelli gravi.

Qui conta anche molto l’aspetto psicologico. L’atleta in genere non accetta subito di essere infortunato. Tende a minimizzare, rischiando di peggiorare la situazione. L’opinione più diffusa, quello che tutti gli altri runner consigliano all’infortunato poi è di fermarsi immediatamente (e certo mica sono loro infortunati…) e andare dal medico o a fare gli esami del caso (es. ecografia). E ovviamente cosa volete che vi faccia fare il medico: una bella (costosa) terapia! (es.tecar). 

Ebbene io penso che questo sia sbagliato non sia l’approccio corretto.
Per capire l’entità dell’infortunio e i passi da seguire occorre un protocollo: uno schema da seguire che dia risposte precise e che in questo modo tenga conto dell’aspetto psicologico.

Punto 1-Rilevato un problema (lieve o grave che sembri) occorre porsi la seguente domanda: riesco, nonostante il “problema”, a correre, riuscendo a raggiungere gli obiettivi delle sessioni di allenamento del programma che sto seguendo?

Punto 2a-Se la risposta è si, è probabile che l’infortunio sia lieve e che non ci sia bisogno né di fermarsi né di ricorrere ad aiuti esterni (medici, stregoni, fattucchiere).

Si può e si deve continuare ad allenarsi ma occorre monitorare bene la situazione. 

Dopo ogni allenamento bisogna porsi la domanda: il problema sta peggiorando? Se la risposta è no, anche se non si vedono subito miglioramenti, si può e si deve continuare a correre.

Nel frattempo, mentre ci si continua ad allenare, è fondamentale capire la causa dell’infortunio e rimuoverla. Ci si deve di nuovo riferire alle quattro cause del primo post, e riflettere bene su come ci si è allenati nell’ultimo periodo. Abbiamo aumentato l’intensità? Il volume? Abbiamo cambiato scarpe? Abbiamo ridotto il riscaldamento? Qualunque sia la risposta, che servirà in futuro a non ripetere l’errore, bisogna lasciare il tempo all’organismo di recuperare.

Punto 3a-Individuata e rimossa la causa dell’infortunio è molto probabile che il problema scomparirà in breve tempo. Continuando ad allenarsi, nessun aiuto esterno.

Se il problema permane ma non peggiora, forse la causa è un’altra. 
Continuare ad indagare e rimuovere. Finché non si torna nella fase 1.

Per chiarire meglio il concetto ricorrerò a un’esperienza personale, non di poco conto. 

Primavera 2012, ne ho già parlato in due post di flashback (qui e qui).

Subito dopo la mia prima mezza maratona, in cui avevo raggiunto gli stratosferici obiettivi che mi ero posto, avevo la possibilità di allenarmi durante la pausa pranzo, con più tempo a disposizione. 

Decisi allora di passare da quattro a cinque allenamenti (a volte pure sei), inserendo un lento o un medio. Ma allora facevo i lenti molto veloci, ritmo gara 10km + 40’’. Cioè aggiunsi altra intensità a quella che già facevo e ovviamente anche del volume (ricordate le cause 1 e 2?). 

Andai avanti un mese, migliorando sensibilmente i miei ritmi. Alla fine del mese, però, improvvisamente mi comparse un fastidio ai tendini tibiali. Avevo una gara dopo pochi giorni e (aspetto psicologico) non accettai di essere infortunato. 

Feci la gara con un tempo per me a quei tempi strepitoso. Sull’onda dell’entusiasmo, aumentai ancora gli allenamenti! Il dolore ai tendini non scompariva, le prestazioni improvvisamente iniziarono a scadere, avvertivo tanta stanchezza e mi venne una forte tosse. Feci un’altra gara con un risultato disastroso. 

Ecco solo a quel punto accettai che c’era un problema (che individuai nell’overtraining) e iniziai ad applicare il protocollo descritto sopra. Avrei dovuto farlo già al primo fastidio ai tendini, ma feci un errore di gioventù “esperienza”.

Per fortuna, da quel momento in poi, fui più avveduto. Tutti i runner con cui parlavo mi dicevano di fermarmi e andare dal medico. Chi mi diceva di fare le analisi del sangue, chi di bombardarmi di antinfiammatori, chi di fare tecar. 

Non seguì questi consigli e applicai il mio protocollo.

Punto 1.
Il fastidio ai tendini mi permetteva di allenarmi, raggiungendo gli obiettivi giornalieri. La risposta era “si”. Il fastidio era molto forte durante il riscaldamento, ma poi l’intensità diminuiva, riuscivo a fare bene la seduta (anche se con qualche fastidio) per poi avere ancora male nelle ore successive.

Punto 2a.
Allora potevo continuare. Peggiorava allenandomi? No, rimaneva stabile. Potevo continuare.

Dovevo indagare le cause. Partiamo dal basso. 4) Scarpe? No, non le avevo cambiate, né erano vecchie; 3) Riscaldamento? No, ne facevo adeguatamente come sempre; 2) Volume? Forse. Avevo aumentato leggermente il chilometraggio; 1) Intensità? Forse. Avevo inserito una seduta abbastanza intensa.

Individuate le cause, dovevo rimuoverle. Per tagliare la testa al toro e prendere i punti 1 e 2 insieme, decisi di tornare ai quattro allenamenti, che non mi avevano mai dato problemi.

Iniziai da subito a sentirmi meno stanco. Le prestazioni erano ancora insoddisfacenti, ma non peggioravano più.

E siamo al punto 3a. Nel giro di qualche settimana iniziai a sentirmi meglio da tutti i punti di vista. Prestazioni, stanchezza e anche i tendini. Il fastidio non cessò improvvisamente, ma diventò meno intenso e poi iniziò a manifestarsi solo alcuni giorni.

Dopo un mese circa dall’inizio dell’applicazione del protocollo ne fui fuori!
Non smettendo mai di allenarmi, senza l’aiuto dei medici. Semplicemente a quel tempo non ero pronto per quel volume e più probabilmente per quella intensità. Rimuovere la causa fu sufficiente a farmi guarire.

Nel prossimo post parlerò invece degli infortuni più “seri” che impediscono di allenarsi. E anche lì, signora mia, ho un protocollo da descrivere e un'altra esperienza personale da raccontare.

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