Dopo l’ottima doppietta Miguel-Interbancario, l’obiettivo
successivo era la Roma-Ostia, la gara che a Roma non si può non
fare, metro di paragone per tutti gli agonisti de noantri, la nostra Milano-Sanremo
insomma.
Nel frattempo ero stato in settimana bianca, quindi senza
correre per ben sette giorni, a parte un paio di sgambate corte e lente su un
tapis roulant (tapiro per gli amici) sempre molto affollato. Cosa dice signora?
Iniziamo con le scuse. No, non ancora, era solo per dire.
Un unico allenamento abbastanza indicativo, tre settimane
prima dell’evento: 10x1000 in pista rec.400mt
in 3’. Primo 1000 in 3’39’’! Poi senza morire, gli altri 1000 venuti a 3’43’’ di media.
Molto bene. Altri allenamenti, invece, non mi erano venuti come volevo, ma non
è sempre domenica, signora mia.
E andiamo a prendere il pettorale….e che pettorale! Quest’anno,
per la prima volta, sono in griglia nera “Top
runner”, il massimo per gli umani, perché prima c’è solo la griglia dei
professionisti o quasi, gli elite runners con PB sotto 1h10’. Già questa è una
grande soddisfazione, se penso alla mia prima volta, in ultima griglia nel 2012
e poi via via negli anni sempre più avanti. Che dice signora? Siamo al
capolinea? Ah, maybe, po’-esse. Vedremo.
Benissimo, eccoci alla mattina fatidica: solita routine
pre-gara, unica differenza con gli anni precedenti: non fa freddo “porco”, anzi la temperatura sembrerebbe (notare
il condizionale) perfetta per correre. Dopo qualche chiacchiera e riscaldamento
con Simona e Marcello, conosciuti entrambi sul forum, entro serenamente e
orgogliosamente nella griglia nera, appena dietro i fenomeni africani.
Tattica: sono particolarmente (un po’ troppo)
sereno, per cui non ho elaborato una tattica particolare. Mi piacerebbe fare il
personale, dovrei esserne in grado visto il PB sui 10km e il 10x1000 recente. So
che mi potrò regolare anche col cardio, come al solito, per non strafare all’inizio.
Pronti via: impossibile da quella posizione partire
piano, altrimenti si rischia di essere travolti. Dopo la discesa volata, l’intenzione
sarebbe di mettermi a un passo umano.
Ok. Provo. Primo km 3’39’’. Troppo veloce,
ovvio. Ma con la discesa iniziale forte magari non è troppo, uhm, il cardio che
dice? E che dice signora? Niente dice, non funziona! Lo so che dovevo comprare
la fascia nuova, ormai questa fa le bizze, lo so, lo so. Ma ecco che raggiungo
uno che a dicembre ho battuto di parecchio, allora forse sono al ritmo giusto,
la fatica non mi sembra nemmeno eccessiva. Lo so signora che ho raggiunto e
superato anche due o tre che di solito mi danno la pista, ma magari non la
stanno tirando…
Per farla breve, passo al 5km in 18’40’’ (3’44’’/km).
Quasi 30’’ più veloce del PB dell’anno scorso, che darebbe una proiezione di
1h17’ alto. Magari! Quanto sono forte!
Però i km successivi inizia a succedere un fenomeno
preoccupante, già visto altre volte: pur mantenendo lo stesso
sforzo, i km iniziano a passare con qualche secondo in più e quelli che mi sono
intorno iniziano a superarmi.
Ovviamente essendo tutto un saliscendi, la speranza è che sia la normale dinamica di corsa.
Ma questo è il guaio: la speranza! Ovvero quella particolare
peculiarità che al tempo stesso caratterizza l’uomo ed è la sua rovina, quella
che non gli fa accettare la realtà ed adeguarsi alle circostanze quando
servirebbe, quella che annulla completamente la ragione, l’altra caratteristica
che dicono umana.
Succede così che arrivo al decimo km: 38’ netti, una decina
di secondi peggio dell’anno scorso, 40’’ circa persi nei secondi 5km. Non
sarebbe nemmeno tanto, ma ora sento di più la fatica e ho davanti minacciosa la
salita del camping. L’anno passato il km era passato appena sopra i 4’, quindi
l’idea prima di partire era qualcosa sotto i 4’. In cima guardo il crono: 4’20’’.
È finita, sono
in crisi, lieve, ma questo è, ora è chiaro e sono solo al 11° km!
Ho solo due possibilità: 1) Stringere i denti, fare 10km
a morire per stare su un tempo presumibile intorno al 1h21’-1h22’ o anche
qualcosa peggio; 2) Mollare.
Pochi passi e la decisione è presa, la 2, signora, mollo,
si mollo, alcune volte è la scelta migliore e poi non ho voglia di soffrire per
un risultato che non mi interessa. Mollo, basta. Il resto della gara è un regressivo senza
fine, iniziano a superarmi tutti, prima quelli che avevo preso a
riferimento, poi i miei compagni di squadra, e ognuno mi chiede cosa ho. E cosa
ho? Niente, so scoppiato, passeggio. Poi mi superano quelli che ormai non vedo
più in gara da tempo. Gli ultimi km sto vicino ai 5’30’’-6’/km, e faccio pure
un po’ fatica!
Tempo finale 1h30’ e
spicci.
Ma ora come in tutti i film noir americani che si
rispettino, nella scena finale bisogna chiedersi: “si, ma cosa abbiamo imparato?”
Un sacco di cose direi: 1) non si finisce mai di imparare
a gestire le gare: il clima sembrava ideale, ma non lo
era! Infatti quasi tutti sono andati in “positive split”, con la seconda
metà di gara più lenta della prima. Cosa che in questa gara raramente succede,
perché la seconda parte è prevalentemente in discesa!
2) la strumentazione a supporto deve essere efficiente,
perché a volte aiuta a essere più prudenti e a prendere la decisione giusta.
3) l’obiettivo della gara deve essere più flessibile:
va bene rischiare ogni tanto per raggiungere un traguardo ambizioso, ma se non
ci sono le condizioni, qualche volta ci si può anche accontentare. Avessi
continuato con impegno decente, anche senza uccidermi, avrei comunque chiuso
con un tempo da premio di categoria. Avrei avuto una soddisfazione lo stesso.
Certo se si punta al record del mondo, la delusione è piuttosto probabile!
Forse qualche gara di allenamento in più, senza nessun obiettivo, aiuterebbe.
Ovviamente è tutto un gioco, non me la sono presa più di
tanto. Capita, fossero questi i mali della vita!
Applausi comunque,non è facile decidere di mollare,soprattutto alla Roma-Ostia.
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