giovedì 27 luglio 2017

Blackout - 4 - Roma-Ostia 2017



Dopo l’ottima doppietta Miguel-Interbancario, l’obiettivo successivo era la Roma-Ostia, la gara che a Roma non si può non fare, metro di paragone per tutti gli agonisti de noantri, la nostra Milano-Sanremo insomma.

Nel frattempo ero stato in settimana bianca, quindi senza correre per ben sette giorni, a parte un paio di sgambate corte e lente su un tapis roulant (tapiro per gli amici) sempre molto affollato. Cosa dice signora? Iniziamo con le scuse. No, non ancora, era solo per dire.

Un unico allenamento abbastanza indicativo, tre settimane prima dell’evento: 10x1000 in pista rec.400mt in 3’. Primo 1000 in 3’39’’! Poi senza morire, gli altri 1000 venuti a 3’43’’ di media. Molto bene. Altri allenamenti, invece, non mi erano venuti come volevo, ma non è sempre domenica, signora mia.

E andiamo a prendere il pettorale….e che pettorale! Quest’anno, per la prima volta, sono in griglia nera “Top runner”, il massimo per gli umani, perché prima c’è solo la griglia dei professionisti o quasi, gli elite runners con PB sotto 1h10’. Già questa è una grande soddisfazione, se penso alla mia prima volta, in ultima griglia nel 2012 e poi via via negli anni sempre più avanti. Che dice signora? Siamo al capolinea? Ah, maybe, po’-esse. Vedremo.

Benissimo, eccoci alla mattina fatidica: solita routine pre-gara, unica differenza con gli anni precedenti: non fa freddo “porco”, anzi la temperatura sembrerebbe (notare il condizionale) perfetta per correre. Dopo qualche chiacchiera e riscaldamento con Simona e Marcello, conosciuti entrambi sul forum, entro serenamente e orgogliosamente nella griglia nera, appena dietro i fenomeni africani.

Tattica: sono particolarmente (un po’ troppo) sereno, per cui non ho elaborato una tattica particolare. Mi piacerebbe fare il personale, dovrei esserne in grado visto il PB sui 10km e il 10x1000 recente. So che mi potrò regolare anche col cardio, come al solito, per non strafare all’inizio. 

Pronti via: impossibile da quella posizione partire piano, altrimenti si rischia di essere travolti. Dopo la discesa volata, l’intenzione sarebbe di mettermi a un passo umano. 

Ok. Provo. Primo km 3’39’’. Troppo veloce, ovvio. Ma con la discesa iniziale forte magari non è troppo, uhm, il cardio che dice? E che dice signora? Niente dice, non funziona! Lo so che dovevo comprare la fascia nuova, ormai questa fa le bizze, lo so, lo so. Ma ecco che raggiungo uno che a dicembre ho battuto di parecchio, allora forse sono al ritmo giusto, la fatica non mi sembra nemmeno eccessiva. Lo so signora che ho raggiunto e superato anche due o tre che di solito mi danno la pista, ma magari non la stanno tirando…

Per farla breve, passo al 5km in 18’40’’ (3’44’’/km). Quasi 30’’ più veloce del PB dell’anno scorso, che darebbe una proiezione di 1h17’ alto. Magari! Quanto sono forte! 

Però i km successivi inizia a succedere un fenomeno preoccupante, già visto altre volte: pur mantenendo lo stesso sforzo, i km iniziano a passare con qualche secondo in più e quelli che mi sono intorno iniziano a superarmi.

Ovviamente essendo tutto un saliscendi, la speranza è che sia la normale dinamica di corsa. 

Ma questo è il guaio: la speranza! Ovvero quella particolare peculiarità che al tempo stesso caratterizza l’uomo ed è la sua rovina, quella che non gli fa accettare la realtà ed adeguarsi alle circostanze quando servirebbe, quella che annulla completamente la ragione, l’altra caratteristica che dicono umana.

Succede così che arrivo al decimo km: 38’ netti, una decina di secondi peggio dell’anno scorso, 40’’ circa persi nei secondi 5km. Non sarebbe nemmeno tanto, ma ora sento di più la fatica e ho davanti minacciosa la salita del camping. L’anno passato il km era passato appena sopra i 4’, quindi l’idea prima di partire era qualcosa sotto i 4’. In cima guardo il crono: 4’20’’. 

È finita, sono in crisi, lieve, ma questo è, ora è chiaro e sono solo al 11° km!   
Ho solo due possibilità: 1) Stringere i denti, fare 10km a morire per stare su un tempo presumibile intorno al 1h21’-1h22’ o anche qualcosa peggio; 2) Mollare.

Pochi passi e la decisione è presa, la 2, signora, mollo, si mollo, alcune volte è la scelta migliore e poi non ho voglia di soffrire per un risultato che non mi interessa. Mollo, basta. Il resto della gara è un regressivo senza fine, iniziano a superarmi tutti, prima quelli che avevo preso a riferimento, poi i miei compagni di squadra, e ognuno mi chiede cosa ho. E cosa ho? Niente, so scoppiato, passeggio. Poi mi superano quelli che ormai non vedo più in gara da tempo. Gli ultimi km sto vicino ai 5’30’’-6’/km, e faccio pure un po’ fatica!
Tempo finale 1h30’ e spicci.

Ma ora come in tutti i film noir americani che si rispettino, nella scena finale bisogna chiedersi: “si, ma cosa abbiamo imparato?”

Un sacco di cose direi: 1) non si finisce mai di imparare a gestire le gare: il clima sembrava ideale, ma non lo era! Infatti quasi tutti sono andati in “positive split”, con la seconda metà di gara più lenta della prima. Cosa che in questa gara raramente succede, perché la seconda parte è prevalentemente in discesa! 

2) la strumentazione a supporto deve essere efficiente, perché a volte aiuta a essere più prudenti e a prendere la decisione giusta.

3) l’obiettivo della gara deve essere più flessibile: va bene rischiare ogni tanto per raggiungere un traguardo ambizioso, ma se non ci sono le condizioni, qualche volta ci si può anche accontentare. Avessi continuato con impegno decente, anche senza uccidermi, avrei comunque chiuso con un tempo da premio di categoria. Avrei avuto una soddisfazione lo stesso. Certo se si punta al record del mondo, la delusione è piuttosto probabile! Forse qualche gara di allenamento in più, senza nessun obiettivo, aiuterebbe.

Ovviamente è tutto un gioco, non me la sono presa più di tanto. Capita, fossero questi i mali della vita!

1 commento:

  1. Applausi comunque,non è facile decidere di mollare,soprattutto alla Roma-Ostia.

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